Pensatore politico e letterato italiano. Figlio di un giureconsulto fiorentino,
compì in casa i suoi studi umanistici, arrivando a una buona conoscenza
della lingua latina. Della sua gioventù si hanno poche notizie: il suo
esordio nella vita pubblica avvenne nel 1498, poco dopo la condanna a morte del
Savonarola, quando ricoprì l'incarico di segretario della seconda
cancelleria, istituzione che trattava gli affari interni e la guerra. Da questa
mansione gli derivò poi, per antonomasia, l'appellativo di "Segretario
fiorentino". Si sposò nel 1501 con Marietta Corsini, dalla quale ebbe
quattro figli. Nel frattempo, non ancora trentenne, era entrato nella segreteria
dei "Dieci di libertà e balìa", una magistratura elettiva che si
occupava degli affari esteri della Repubblica. Nei quattordici anni in cui
rimase nella segreteria della Repubblica fiorentina (1498-1512) fu ripetutamente
inviato in missione sempre in qualità di uomo di fiducia di Firenze. Fu
così mandato a Pisa (1500) a negoziare la fine delle lunghe
ostilità con essa, a Roma quando fu eletto al soglio pontificio Giulio
II, fu inviato più volte in Francia alla corte di Luigi XII; analogamente
si recò presso il duca Valentino (al secolo, Cesare Borgia) e in Tirolo
presso l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo (1507). Nei soggiorni presso le
corti straniere ebbe modo di conoscere direttamente realtà politiche
nuove e diverse e di affinare la sua conoscenza di istituzioni e governi. I suoi
primi scritti sono costituiti dalle relazioni su queste missioni. Vanno
ricordati: la
Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare
Vitellozzo Vitelli, Olivierotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina
Orsini (1503), sulla complessa figura e l'opera di Cesare Borgia;
Del
modo di trattare i popoli della Val di Chiana ribellati (1503); il
Ritratto di cose di Francia (1510) con le osservazioni sui costumi
francesi e sulle ragioni che resero possibile l'unificazione politica
all'insegna della monarchia; il
Rapporto delle cose dell'Allemagna (1508)
che rielaborò nel 1512 nel
Ritratto delle cose della Magna
cogliendo i punti di forza e le debolezze politiche della stirpe teutonica. Non
meno importante della sua carriera diplomatica fu la sua attività per
dotare Firenze di truppe stanziali, allora più che mai necessarie alla
Repubblica che doveva fronteggiare continui pericoli e disordini dello
scacchiere italiano. Nel 1506
M. fu eletto cancelliere della milizia,
formata dalla fanteria e poi in seguito anche dalla cavalleria. Una data
importante per
M. e per Firenze fu il 1512, quando la sconfitta dei
Francesi determinò il crollo della Repubblica fiorentina e il
ristabilirsi in città del dominio mediceo. Con il ritorno della Signoria,
tutti i dignitari compromessi con il passato regime furono allontanati dal
potere.
M., da sempre vicino al gonfaloniere perpetuo Pier Soderini,
venne esonerato dal suo ufficio, imprigionato e bandito da Firenze. Gli anni
successivi trascorsero tristi, in ritiro nel suo podere, all'Albergaccio presso
San Casciano, in Val di Pesa. Qui presero forma i suoi scritti dottrinari,
frutto delle esperienze politiche maturate sul campo:
Il principe (1513);
i
Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (1519); i
Dialoghi
dell'arte della guerra (1519-1520). A questo periodo risale anche il fitto
carteggio con l'amico Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino a Roma: si
tratta di lettere importantissime per mettere a fuoco
M. uomo e teorico
politico. Scrisse anche opere di carattere storico, utilissime a capire,
completandolo, il pensiero politico di
M.: le
Istorie fiorentine
(1525), pubblicate postume, che trattano a grandi linee le vicende europee
dall'età delle invasioni barbariche alla morte di Lorenzo il Magnifico
(1492) e la
Vita di Castruccio Castracani, una biografia romanzata del
grande condottiero, con la quale intendeva dare il ritratto del principe
perfetto. Scrisse inoltre la novella di
Belfagor arcidiavolo, la commedia
Mandragola (1518), una riuscitissima beffa erotica considerata un
capolavoro letterario; viene a lui attribuita, seppur con qualche incertezza,
anche la
Clizia, rappresentata solo nel 1525. Di interesse linguistico
anche il
Dialogo intorno alla nostra lingua (1514) nel quale sostenne la
tesi della fiorentinità della lingua letteraria. Sempre di carattere
letterario sono: il poemetto
L'asino d'oro, un'allegoria desunta da
Apuleio; la traduzione dell'
Andria di Terenzio; ed infine
Capitoli, rime e canti carnascialeschi di valore minore. Col
Principe, dedicato a Giuliano de' Medici, fratello di Leone X,
intese offrire ai Medici lo strumento per un'affermazione del loro controllo
politico su tutta la penisola. Questa posizione favorì un reinserimento
di
M. nella vita politica attiva della Firenze medicea: gli furono
così affidati alcuni nuovi incarichi diplomatici, ma di scarso rilievo.
Successivamente fu nominato procuratore alle mura, col compito di predisporre la
difesa di Firenze contro l'esercito imperiale. Quando, alla notizia del sacco di
Roma, nel 1527, i Medici vennero nuovamente cacciati da Firenze e fu restaurata
la Repubblica con Niccolò Capponi gonfaloniere,
M., ormai troppo
compromesso coi Medici, fu escluso da ogni incarico e morì a un mese di
distanza dall'insediamento del nuovo governo. Soltanto alla fine del Settecento
i suoi resti furono traslati in Santa Croce. Figura tra le più
rappresentative del Rinascimento,
M. fu un uomo d'azione e un teorico al
contempo che ebbe una concezione moderna della politica intesa come "categoria"
a sé. L'importanza di
M., nella storia del pensiero in generale e
del pensiero politico in particolare è grandissima. Nessuno vide, ai suoi
tempi, con altrettanta chiarezza, l'evoluzione politica europea in atto e
nessuno si rese conto meglio di lui della fragilità degli equilibri
italiani, minati dalla corruzione politica e morale sopravvenuta con la
decadenza dei culti tradizionali. Egli adottò, per primo, il metodo della
ricerca empirica, fondata esclusivamente sull'osservazione (
realtà
effettuale), nello studio del fenomeno politico, distaccandosi nettamente da
tutta la precettistica politica precedente, elaborata sull'interpretazione e
sulla discussione di testi, più che sul terreno degli eventi storici
reali. Pertanto, egli può essere considerato il fondatore della scienza
politica e uno degli iniziatori del pensiero moderno. In analogia con il corpo
umano, egli vide nello Stato un organismo naturale che ha le sue leggi di
sviluppo e considerò l'attività politica, volta alla costituzione
e alla conservazione dello Stato, come un'attività autonoma, avente
propri fini e proprie leggi, e perciò autorizzata anche a valersi di
propri mezzi.
M. opera una distinzione tra l'attività politica,
quale complesso di azioni che l'uomo di Stato compie per acquisire il potere e
assicurarne la stabilità, e l'attività morale, intesa come
attività dell'uomo per la salvezza della propria anima. Questa
distinzione gli attirò, da un lato, l'accusa di immoralismo, dall'altro
il riconoscimento di essere stato il primo a porre il problema dell'autonomia
della politica nei confronti della morale. Le sue teorie politiche non furono
enunciate sistematicamente, ma in forma di annotazioni su situazioni particolari
e presentano contraddizioni solo apparenti: se nei
Discorsi viene
teorizzata la Repubblica come forma più alta di governo dello Stato, nel
Principe M. propone il principato come il solo rimedio possibile
nei momenti cruciali quando, mancando le virtù civiche che sole possono
tenere in vita la repubblica, non resta che affidarsi all'eroe d'eccezione, a
quel principe "mezzo uomo e mezza bestia" che governi il più saggiamente
possibile. Della bestia il principe dovrebbe avere la parte del leone e quella
della volpe, utilizzando al meglio per la sopravvivenza del suo Stato le leggi,
la milizia e anche la religione che in
M. viene considerata un
instrumentum regni privilegiato. Precipua caratteristica del cosiddetto
"machiavellismo" è il doppio tipo di comportamento previsto per lo
statista-principe, e per il privato cittadino. Come supremo responsabile dello
Stato, il reggitore è al di là della morale e non c'è alcun
criterio per giudicare i suoi atti, se non l'esito degli espedienti con cui egli
amplia e perpetua il potere del suo Stato.
M. sanziona apertamente l'uso
di qualsiasi mezzo (fino alla crudeltà, all'assassinio), purché
usato con intelligenza e discrezione. Egli tuttavia insiste anche sul bisogno di
rimedi legali di fronte agli abusi ufficiali, per prevenire la violenza
illegale, e predica i pericoli dell'illegalità nei reggitori e la follia
delle politiche oppressive. Afferma che il governo è più stabile
quando molti vi partecipano e per la scelta dei reggitori le sue preferenze
vanno al sistema elettivo anziché ereditario. Difende la libertà
generale e la libertà di discussione, affinché in ogni questione
si possano ascoltare le due parti prima di prendere una decisione. Strettamente
connesso col suo giudizio favorevole sul governo popolare, quando sia possibile,
e della monarchia, quando necessaria, è il disprezzo di
M. per
l'aristocrazia, la nobiltà e le milizie mercenarie. La
molteplicità del suo pensiero spiega come egli abbia potuto di volta in
volta essere rappresentato come un cinico assoluto, un ardente nazionalista, un
convinto democratico, un ricercatore spregiudicato del favore dei despoti. Pur
contenendo ognuna di queste affermazioni un fondo di verità, nessuna di
esse offre l'immagine completa di un uomo il cui pensiero è il risultato
di una vasta serie di osservazioni e di letture di storia politica, e che non
ebbe mai la pretesa di creare un sistema generale preconfezionato. Più di
ogni altro pensatore politico, egli creò il significato del termine
"Stato" nell'uso politico moderno (Firenze 1469-1527).